Coppa Italia stagione 2021/2022: la corsa del Padova si è fermata l’8 agosto, nel turno preliminare, con una sconfitta per 2-0 maturata durante i tempi supplementari contro l’Alessandria; vera bestia nera per i patavini, i grigi piemontesi, che poco meno di due mesi prima avevano strappato, ai calci di rigore, la promozione in serie B.
E il calcio Padova fa capolino, con l’intervista a Damiano Longhi, ex capitano dei biancorossi negli anni ’80, e oggi residente a Selvazzano, sull’edizione luglio 2021 del giornale di Selvazzano Dentro.
Tra le foto a corredo dell’articolo una con Diego Armando Maradona che, proprio nella stagione 1986/8,7 centrò l’accoppiata scudetto/Coppa Italia…
E questo primo fra corsi e ricorsi (gli altri li vedremo oltre), legati alla Coppa Nazionale, ci fornisce lo spunto per trattare di un argomento curioso: tutti gli anni, e questo non fa eccezione, quando inizia la lunga cavalcata verso la finale della Coppa, si legge nell’albo d’oro, come primo nome quello del Vado.
E ci potremmo chiedere, manzonianamente, chi era costui o meglio da dove arriva questa squadra?
Ecco la risposta…
Vado, quindi, quale la genesi, l’origine, la storia di questa squadra, che ha come colori della casacca il rosso e il blu, e che superò, in una lontana finale dell’anno 1922, per 1-0 l’Udinese, team dalle casacche bianconere più noto alle masse calcistiche moderne?
Il team del Vado F.C. 1913, rappresenta la cittadina di Vado Ligure, confinante con la città Capoluogo di Provincia Savona e, visto che da qui all’infinito, l’albo d’oro riporterà nella prima riga, il suo nome, vediamo come andarono quella prima edizione con annesse cavalcata vincente e finale, che passerà alla storia per il gran tiro a effetto di Felice Levratto, il mitico centravanti rossoblù che, con quella castagna, bucò addirittura la rete friulana; già, quel Felice Virgilio Levratto che, salito alla ribalta in quel torneo di Coppa Italia, fu convocato poi in Nazionale (28 partite e 2 reti lo score), e vestì anche le casacche di Hellas Verona, Genoa e Inter.
Coppa Italia 1922, anzitutto (alcuni dei) protagonisti: oltre al sopra e sotto citato Levratto, da segnalare che il portiere rossoblù era tale Babboni I (primo di tre fratelli tutti impegnati nelle file del Vado), al secolo Achille, noto perché non rinviava la palla con i piedi bensì con il pugno chiuso, come nel Pallone elastico o Palla a pugno o Balòn, che il capitano era il difensore Enrico Romano detto Testina d’oro per le sue capacità di andare a segno con la testa e capace, come recitano le cronache, durante un’amichevole contro la Nazionale, di impressionare nientepopodimeno che il mitico e vincente c.t. Vittorio Pozzo (che portò gli azzurri sul tetto del mondo nel 1934 e nel 1938, senza dimenticare la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino nel 1936).
Coppa Italia unica nel 1922 ma preceduta da ben due campionati (quello della Federazione Italiana Gioco Calcio, alias Figc, vinto dalla Novese e quello della Confederazione calcistica italiana dalla Pro Vercelli): questo antefatto avrà, come vedremo, riflessi anche sulla Coppa; la diarchia, infatti, era stata originata da una querelle tra la federazione e le principali società, con la prima che spingeva per far partecipare al campionato tutte le squadre (ancorché suddivise in gironi), mentre le società economicamente più forti chiedevano invece due gironi di dodici squadre e le rimanenti sessanta relegate in serie minori; di qui quindi l’assegnazione di due scudetti, termine peraltro coniato da Gabriele D’Annunzio, reduce dall’impresa fiumana, come ricordano gli albi d’oro.
Coppa Italia il bando: quando la Federazione Italiana Gioco Calcio promulgò il bando di partecipazione per la prima edizione, si iscrissero 35 società (fra i forfait da segnalare Pro Vercelli, Inter, Juventus, Torino, Genoa, Spezia, Livorno) fra le quali la neo scudettata Novese, l’antenato della Fiorentina, il Fanfulla Lodi, la Lucchese, la Mantovana, il Parma, la Triestina e l’Udinese che appunto andò in finale, contro il Vado che, in quell’anno aveva disputato il campionato di terza divisione nazionale; il team ligure si sbarazzò in sequenza di Fiorente Genova, Molassana (oggi quartiere della Città di Genova ma allora comune autonomo), Juventus Italia Milano, Pro Livorno e, in semifinale, della Libertas Firenze.
E si arriva alla finale ma, al termine dei novanta minuti, Vado e Udinese sono ferme sullo 0-0 e qui la storia si biforca…
Versione 1: dopo 30 minuti di supplementari, nulla di fatto e non essendo previsti i calci di rigore, iniziò il cosiddetto tempo ad oltranza (antenato del sudden death e/o golden Goal tanto pomposamente previsto quanto precocemente abolito dopo alcune sfolgoranti apparizioni, vedi finale Europei del 1996 fra Germania e Repubblica Ceca, del 2000 fra Italia e Francia o gli ottavi di finale di Francia ’98 fra padroni di casa e Paraguay), con i friulani che, in realtà secondo le cronache, puntavano ormai al buio nella speranza di ripetere la finale a casa loro; al minuto 127, però, ecco il lampo di Levratto che fece partire una bordata capace, come detto sopra, addirittura di sfondare la rete.
Versione 2 presente in molti tabellini: qui il minuto del gol è il 118′, quindi a 120 secondi dal termine del secondo tempo supplementare…
Sia come sia, cronaca o leggenda, da allora il Vado non ha più fatto registrare alcun acuto (oggi milita in serie D), anche se dalle sue fila sono emersi molti giocatori di valore, in primis il portiere del Grande Torino Valerio Bacigalupo, che vestì anche la maglia del Savona e al quale è intitolato lo stadio cittadino, senza dimenticare il fratello Manlio che, sempre come estremo difensore, vinse uno scudetto (ancora con il Torino) e due Coppe Italia (con Genoa e Venezia).
FINALE Coppa Italia Prima Edizione – Vado Ligure il 16 luglio 1922
Vado – Udinese 1-0 D.T.S.
Tabellino
Vado: Babboni A., Babboni L., Raimondi, Masio, Romano, Cabiati, Roletti, Babboni G., Marchese,
Esposto, Levratto.
Udinese: Lodolo, Bertoldi, Schiffo, Dal Dan, Barbieri, Gerace, Tosolini, Melchior, Moretti, Semintendi,
Ligugnana.
Rete: Levratto (118′ o 127′?)
Ma torniamo al Padova, perché le curiosità non sono di certo terminate: va ricordato, infatti, che il miglior risultato patavino, nella Coppa, fu la finale dell’anno 1966-1967 (dove fu sconfitta per 1-0 dal Milan dopo aver però superato in semifinale l’Inter). E nella formazione allenata dall’italo argentino Humberto Rosa, che aveva vestito la casacca biancorossa dal 1956 al 1961 (oltreché di Sampdoria, Juventus e… Napoli) spiccava a centro campo un tale Alberto (detto Albertino) Bigon (che nella stagione precedente aveva vinto con i biancoscudati il massimo campionato Primavera) e che, dopo un passaggio lampo nella stagione successiva (sempre al Napoli…), dal 1971 al 1980 sarà una delle colonne proprio del Milan. E sarà giusto Bigon, (nato a Padova il 31 ottobre 1947) questa volta in veste di allenatore, a portare il Napoli alla vittoria del secondo scudetto, proprio ai danni del Milan.
E la stella di quel Napoli era proprio Diego Armando Maradona (che vediamo in foto)…
Ma Alberto (ino) Bigon, per chiudere il cerchio, dopo averla vista sfumare in finale con il suo Padova, la Coppa Italia la solleverà, comunque da giocatore e sempre con il Milan, per ben 3 volte nelle stagioni 1971-1972, 1972-1973, 1976-1977.
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