Dante Alighieri, del quale quest’anno cadono gli otto secoli dalla morte, è considerato uno dei padri della lingua italiana, mentre la sua opera, la Divina Commedia (in origine era solo Commedia l’aggettivo fu in realtà aggiunto da Giovanni Boccaccio successivamente), è feconda di spunti in ogni ambito dello scibile umano.
L’articolo comparso sull’edizione di novembre 2021 di Bareggio Live, ci fornisce lo spunto per una digressione in campo astronomico, dedicata in particolare alla Croce del Sud, o Croce Australe o anche semplicemente Croce.
Detto che trattasi della costellazione più piccola, per estensione, del firmamento e che alle alle latitudini italiche, ai nostri giorni non è visibile, conosciamola insieme con un lungo viaggio fra letteratura e scienza.
Premesso che gli autori classici identificavano le stelle della Croce del Sud come una parte del Centauro, costellazione che la circonda da tre parti, lo studioso arabo al-Biruni (XI° secolo d.C.), notò come, dalla latitudine 30° Nord in India, fosse visibile verso sud un asterismo, conosciuto come Sula, ovvero il raggio della crocefissione, mentre il ricercatore tedesco Alexander Von Humboldt (vissuto a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo) sosteneva come gli antichi persiani, che conoscevano bene la costellazione della Croce, celebrassero una festa in suo onore. I loro discendenti invece l’avrebbero persa di vista per via della precessione degli equinozi, ovvero il movimento della Terra che fa cambiare in modo lento ma continuo l’orientamento del suo asse di rotazione e quindi la porzione di cielo visibile da una data latitudine; trattasi di un fenomeno molto importante per comprendere ciò che andremo a descrivere successivamente.
La costellazione della Croce Australe per quanto detto sopra, era quindi ben visibile sull’orizzonte di Gerusalemme (31° 46′ 45″ Nord) all’epoca in cui Cristo fu crocifisso e poi risorse nel giorno della Pasqua e, quest’ultima circostanza, ci porta direttamente alla Divina Commedia di Dante (inizio del XIV secolo).
Dante infatti sembrava conoscere la costellazione anche come sembrerebbe da questo passo del Purgatorio (anche se va sottolineato come non tutti gli autori accettino questa interpretazione ritenendola una fantasia poetica).
“I’mi volsi a man destra, e puosi mente
all’altro polo, e vidi quattro stelle
Non viste mai fuor ch’alla prima gente.
Goder pareva il cielo di loro fiammelle:
oh settentrional vedovo sito,
poi che privato se’ di mirar quelle!”.
Secondo il poeta l’altro polo, quello antartico, al nadir del Polo Nord Celeste si innalza sull’orizzonte del Purgatorio di circa 30°, tanto quanto l’artico sull’opposto orizzonte di Gerusalemme. Secondo Dante le quattro stelle sarebbero state viste soltanto dai primi uomini, cioè da Adamo ed Eva, perché la loro dimora nel Paradiso Terrestre si trovava in cima alla montagna del Purgatorio. Così il settentrional sito (Emisfero boreale inteso però come metafora del mondo abitato), sarebbe vedovo perché da lì non si potrebbero più mirar quelle stelle che simboleggiano le quattro virtù cardinali, ovvero prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.
Nella teologia cattolica sono dette cardinali perché hanno la funzione di cardine, visto che tutte le altre si raggruppano attorno ad esse ed erano state infuse da Dio nei primi genitori del genere umano che le persero, insieme con i loro discendenti, a causa del peccato originale.
Un secondo passo, presente sempre nel Purgatorio, sembrerebbe far riferimento alla Croce:
“Li occhi miei ghiotti andavano pur al cielo,
pur là dove le stelle son più tarde,
sì come rota più presso allo stelo.
“E ‘l duca mio: “Figliuol, che là su guarde”.
E io a lui: “A quelle tre facelle
Di che ‘l polo di qua tutto quanto arde”.
“Ond’elli a me: “Le quattro chiare stelle
che vedevi staman, son là basse
E queste sono salite ove eran quelle”.
La parte del cielo dove le stelle son più tarde sarebbe in questo caso il polo antartico, o Polo Sud Celeste, dove gli astri compiono un moto apparente meno veloce, perché percorrono nelle stesse ventiquattr’ore un’orbita minore di quella che percorrerebbero se si trovassero più vicine all’equatore celeste.
Le quattro stelle scese al di sotto dell’orizzonte sarebbero quelle della Croce del Sud, che richiamano le virtù cardinali.
Le tre facelle – che le avrebbero sostituite, anche se non si sono mai identificate e forse non esistono nemmeno nel cielo reale – sarebbero invece le tre virtù teologali (fede, speranza e carità), che rendono le facoltà dell’uomo idonee alla partecipazione alla natura divina, per permettergli di vivere con la Santissima Trinità. Esse fondano, animano e caratterizzano l’agire morale del cristiano e vivificano tutte le virtù morali.
Ma si registrano altre interpretazioni del passo dantesco, secondo le quali le virtù cardinali farebbero riferimento al giorno, cioè all’esercizio etico della vita, mentre le teologali sarebbero indispensabili per vincere le tentazioni diaboliche simboleggiate dalla notte.
Ma come poteva Dante Alighieri conoscere le quattro stelle invisibili alla nostra latitudine? Probabilmente attraverso qualche globo celeste arabo, popolo con il quale i pisani erano in continue relazioni commerciali, ovvero averne avuto notizia al ritorno di Marco Polo (1295), il quale si era spinto verso sud, fino a Giava e il Madagascar. anche se il celebre viaggiatore veneziano non aveva chiamato l’asterismo con il nome con il quale oggi lo conosciamo; e, come abbiamo visto sopra, le stelle della Croce era ben conosciute da studiosi arabi e indiani…
L’astronomia comunque, al di là dei riferimenti all’asterismo australe, è ben presente all’interno del poema, in alcuni passaggi chiave.
L’Inferno finisce infatti con…
“Quindi uscimmo per rimirare le stelle ”.
Il Purgatorio si conclude con…
“Pure e disposte dal monte fino alle stelle ”.
Il Paradiso termina con…
“L’amore che muove il sole e le altre stelle ”.
Da notare in questo ultimo passaggio la conoscenza astronomica in apparenza più avanzata del poeta rispetto ai suoi contemporanei , visto che associa il Sole alle stelle.
Oggi, sempre per effetto della Precessione, gli astri della Croce del Sud sono invisibili dalle nostre regioni, mentre tredicimila anni fa salivano anche di parecchi gradi sugli orizzonti dell’Europa centrale e gli abitanti della nostra Penisola le potevano scorgere ancora 6500 anni a partire da oggi.
Premesso che la Croce scomparve dai nostri orizzonti circa 4000 anni fa, nella sua forma moderna pare sia apparsa per la prima volta nei mappamondi celesti dei cartografi olandesi Petrus Plancius e Jodocus Hondius, rispettivamente nel 1598 e nel 1600; detto che la sua fissazione come costellazione è stata talvolta attribuita a Royer nel 1679, era già stata illustrata nel globo celeste del geografo Emerie Mollineux in Inghilterra nel 1592.
Le stelle della Croce erano comunque già note nel Medio Evo, al di sotto dell’equatore terrestre, in quanto indicavano la direzione del Polo Sud celeste.
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